Mara Navarria: "Ho due medaglie al collo: l'oro e mio figlio"
Molto più di un riferimento. Mara Navarria arrivava alle Olimpiadi di Parigi con il ruolo di Capitano della spedizione della Spada femminile a squadre, forte di un'esperienza infinita. Forse però non ci si aspettava che fosse lei a risolvere la contesa, salendo sul gradino più alto del podio dopo aver piazzato le stoccate decisive per la rimonta in finale. Un epilogo da favola, in cui risuonano fortissimo le parole che Rudy Tomjanovich pronunciò nel lontano 1995 quando i suoi Houston Rockets vinsero l'anello NBA contro ogni pronostico: "Don't ever underestimate the heart of a champion".
Come dichiarato in un'intervista al Gazzettino, per la Navarria, originaria di Carlino in provincia di Udine, questo è stato l'ultimo, bellissimo ballo: "Chiudo con la scherma, ecco tutto. Avevo iniziato qui al Grand Palais, con la mia prima gara internazionale nel 2010, e qui finisco. C'è un senso, in questa cosa, e mi piace un sacco terminare così. Con una doppia medaglia al collo".
Doppia, sì, perché una delle due era già da tempo sugli spalti a tifare per la campionessa: si chiama Samuele, ha 11 anni:
"Mio figlio era qui in tribuna felice. E io lo ero per lui, e magari anche per tutti i suoi amici. Forse la mia storia può insegnare loro qualcosa, e aiutarli nella vita. Samuele applaudiva sua madre che è nata in un paesino in provincia di Udine, Carlino, ed è arrivata fin quassù, e mio figlio ne era orgoglioso e felice. Si vede che tutto è possibile, se ci si crede. In tribuna c’era anche il mio colonnello dell’Esercito: non l’ho mai visto saltare così in vita mia".
Mara ci tiene a mandare un messaggio: è possibile conciliare la gioia di diventare madri con i trionfi sportivi: "E' possibile conciliare le cose, sì, al punto che non mi è servita affatto la nursery al Villaggio, che è comodissima ed è una grande idea di queste Olimpiadi. Ci ho visto tante mamme coi figli piccoli ed è stato bello. Ho portato Samuele a fargliela vedere, ma lui se n’è voluto andare subito, ovvio. Però vorrei dire alle atlete di non aspettare la fine della carriera per fare figli: io sono l’esempio che si possono conciliare le due cose anche durante l’attività ai massimi livelli".
Il livello massimo dell'intera carriera si è toccato forse proprio in questa finale, in cui l'ingresso della Navarria è arrivato proprio quando la situazione era da dentro o fuori. A fare la differenza gli anni di duro lavoro e qualche sassolino da togliersi: "L’esperienza, e un po’ di carica per la delusione di non aver partecipato all’individuale: ho accettato la scelta del ct Chiodà, ma non vuol dire che mi fosse piaciuta. Poi l’allenamento al rumore. Non ho sentito il frastuono del pubblico, se vuole saperlo non sentivo proprio niente, mi ero estraniata, le orecchie tappate, dentro avevo il silenzio: ci eravamo preparate anche con gli altoparlanti che sparavano il coro “Allez les Bleus”, non avevamo tralasciato niente. E battere i francesi in casa, loro che per la scherma sono pazzi e hanno il doppio degli iscritti in federazione rispetto a noi, è stato il massimo. E il Gran Palais è stato il luogo più giusto per farlo: è il tempio della loro scherma. In una finale olimpica, poi: ce ne ricorderemo tutti".
Ora spazio al futuro, verso direzioni nuove: "Il mio futuro è già iniziato da un po’. Nel senso che da tempo ho capito che ho dato tanto al mio sport, e cominciavo a guardarmi intorno. Il mondo là fuori mi attrae molto e voglio tuffarmici, ho tanti progetti. Sono laureata in Scienze motorie ma voglio prendere un master, magari esplorare altre realtà, come quella del marketing o della comunicazione. Tutto è possibile".