Avevo quasi deciso di iniziare questo pezzo di commiato a Manuel Vanuzzo traendo ispirazione da “Leaves of grass” di Walt Whitman: ma il famoso “O Captain! My Captain!” che riportai all’inizio della mia tesi di laurea (più prosaicamente riferita a fermentazioni speciali di lieviti indigeni) oltreché un po’ scontato si riferisce ad un condottiero che giace morto sulla coperta della sua nave. Non è il caso.

Ed allora mi riavvicino a me stesso, indosso una camicia anni settanta, una giacca improbabile, RayBan e sorriso d’ordinanza; e tolte le scarpe da barca, gli stampo un bel “see you later” come il nostro DoGui avrebbe sicuramente fatto.

See you later: perché due anni con Vanuzzo sono coincisi con due stagioni dal netto sapore di rinascita. Assieme a coach Lino si è preso sulle spalle l’A.P.U. reduce da una cocente eliminazione ai playoff di serie B: con il sigillo della tripla di Bergamo (il “Vaaaaa” di Max Fontanini ancora riecheggia nella mia testa) e la storica “final four” di Montecatini Udine, e Manuel stesso, ritornano in serie A.

Quest’anno Vanuzzo ha dovuto giocare il ruolo, spesso ingrato, del collante di spogliatoio; quando le cose in campo riescono meno perché ci sono momenti “così”, sono i giocatori con alle spalle decine di stagioni che devono livellare le cose con la loro esperienza. Ho temuto per un attimo che tutto saltasse per aria, quando a Trieste Vanuzzo reagì male ad alcuni rimproveri dagli spalti: tutto risolto, si è andati avanti, e bene, senza rancori.

Qualche settimana fa, proprio all’alba della striscia vincente che ha portato la squadra ai piedi della zona playoff, Manuel ha annunciato l’intenzione che probabilmente maturava dentro di sé da tempo: tornare in Sardegna, dove ha giocato con la Dinamo di Sassari per nove anni, dove ha trovato l’amore della vita (Laura) e dove è nato il primo figlio (Thiago).

Saprete tutti i dettagli della lunga e gloriosa carriera di Vanuzzo. Una carriera corsa sui mari: dall’Adriatico, presso il quale nacque (a Dolo), crebbe (a Padova, pochi chilometri dai lidi adriatici), per poi scendere sul Tirreno fuori Montecatini dove in tre anni ha anche esordito nelle coppe Europee ed in azzurro (bronzo ai giochi del Mediterraneo di Tunisi); nel 2001 si trova a Messina, equilibrio tra Ionio e Tirreno; poi rientra in terraferma a Milano e Novara, e finalmente nel 2004 approda a Sassari. Lla perla del Tirreno diventaambiente perfetto per la sua definitiva maturazione. Il suo sangue si impregna della lingua turritana e a Tàttari mette radici. Porta la Dinamo in serie A nel 2010 per la prima volta, come per la prima volta sotto la sua guida i sardi arriveranno in Eurocup ed in Eurolega. Si congederà a giugno 2015, da capitano, indossando il cappellino con scritto “campioni d’Italia” e sollevando, dopo le due Coppe Italia, il trofeo più prestigioso che il club del vulcanico Sardara abbia mai portato a casa: quello dello scudetto. Il grande cuore tàttaro lo capì: quell’accento veneto-sardo era stato confinato in panca da un roster dotato di grandi firme, e nonostante l’attaccamento alla loro terra divenuta sua, Manuel voleva giocare. Capiva anche, però, da persona intelligente qual’è, che sarebbe dovuto scendere di categoria per poter rendersi ancora protagonista: Trapani, Casalpusterlengo lo chiamarono ma lui accettò la sfida di Udine, come detto reduce da una batosta morale enorme ma autentica corazzata nella serie B 2015-16. Sarà così: Manuel e soci metteranno insieme una stagione perfetta, con pochissimi bassi (tre o quattro sconfitte, vado a memoria, una delle quali innocua contro Milano) e tantissimi alti che ne avrebbero fatto la migliore franchigia della cadetteria in senso assoluto.

E quest’anno? Vanuzzo avrebbe potuto dare qualcosa in più, ma qualche acciacco di troppo ne ha frenato la rincorsa ad una posizione da protagonista in momenti in cui la sua mancanza in campo si è sentita, eccome. Ma la tripla infilata contro Mantova, dopo la prestazione da nove in pagella nel derby stravinto sette giorni prima, ha asseverato l’ottemmezzo che si è meritato, nel mio personalissimo cartellino, considerando l’intera permanenza all’ombra del ciscjel.

Era destino: i messaggi di commiato sono spesso spesso noiosi e stucchevoli ciclostilati che dan la misura del disinteresse reciproco se non addirittura il sollievo del distacco; l’ultima riga di quello confezionato dalla Dinamo Sassari, invece, era esemplificativa del futuro, non prossimo, di Manuel “... in attesa di riabbracciarlo qui a Sassari”. Vanuzzo appartiene alla Sardegna, e la Sardegna vive in Vanuzzo e nella sua storia familiare. E domani, quando il capitano dalle 42 primavere e dalle venti stagioni alle spalle ci saluterà, asciugheremo qualche lacrima nell’applaudirlo per l’ultima volta, al termine dei 40’ finali contro la Fortitudo.

Ci mancherà, il Cap: ci mancherà il suo spirito indomito, il suo ottimismo e la presenza di spirito; il suo immancabile “a tutto motore”, la serietà e la capacità di mettere in campo tutto sé stesso al servizio della squadra, dei sostenitori e di questo sport che gli ha dato tanto e cui tanto Manuel ha dato.

Ci mancherà, e forse saremmo stati un po’ offesi se avesse accettato le lusinghe di qualche squadra dal portafogli più capiente: invece come sempre Vanuzzo fa prevalere il cuore alla testa (dopo la Dinamo anche Caserta fece un sondaggio con il lungo Veneto) e riabbraccia la sua isola, il suo mare e i suoi affetti.

Ci mancherà, anzi no: perché come la stella Allan Ray, e Tyler Laser che con noi ha vissuto poco Vanuzzo avrà apprezzato le doti, così simili a quelle dei sardi, di noi friulani: taciturni, sì; musoni, forse; ma dal cuore enorme, capiente, capace di far sentire in famiglia anche un algido estone che da noi sta imparando a masticare qualche “mandi” e metter fuori i denti in qualche sorriso. E lo dico anch’io, dunque: mandi, Manuel; see you later, Ciccio: avere Pedone e Micalich a capo della nostra squadra di pallalcesto è sintomatico di quel che siamo, come hai visto. Perché anche tu, come dico sempre, sei contagiato da questa malattia chiamata basket dalla quale nessuno di noi vuole, né può, guarire.

Sezione: Primo Piano / Data: Ven 21 aprile 2017 alle 19:39
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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